Dal Rifugio Cavazza al Pisciadù al Piz Boè (3152 mt)

Il timido Piz Boè

Il timido Piz Boè dalla Cima Piscadù

MESE: agosto 2016

DIFFICOLTA’: EE

VALUTAZIONE: ****

PREPARAZIONE TECNICA/FISICA: ***

 

NOTE: consigliato in salita, partendo dal Rifugio Cavazza, prendere il sentiero n.666 che attraversa la Val Tita, e non come abbiamo fatto noi, che siamo saliti lungo il ghiaione detritico fino a Sella Pisciadù (molto stancante e franoso)


Sass de Lec

Sass de Lec – con faticoso ghiaione

Nevaio prima della sella

Nevaio prima della sella – Sul fondo Cima Piscadù

Piz Boè

Vista lunare dalla sella sul Piz Boè

Partendo di buona mattina dal Rifugio Cavazza, abbiamo intrapreso il sentiero, che si sviluppa sulla sponda destra del laghetto e siamo risaliti un ghiaione franoso e molto faticoso con evidenti tratti ceduti, a causa dell’erosione dell’acqua sotterranea. Essa scorreva impetuosa nel sottosuolo in quei giorni a causa delle piogge appena cadute, ed il  rumore tumultuoso che giungeva da sotto i nostri piedi, era davvero una sensazione insolita! Alla fine di questo ripido ghiaione detritico ci appare dinnanzi un nevaio, affiancato da una parete rocciosa attrezzata con cavo, ma, di primo acchito poco invogliante… infatti, il cavo era a tratti divelto, probabilmente il ghiaccio invernale aveva staccato parti della roccia di ancoraggio. Questo breve tratto attrezzato su roccia instabile e franosa, che noi abbiamo abilmente evitato risalendo il nevaio e qualche roccetta, conduce diretto alla Sella Pisciadù. A questo punto ci ritroviamo sopra un esteso altipiano roccioso, e l’impressione è quella che doveva aver avuto Armstrong quando mise per la prima volta i piedi sulla Luna… ovviamente tralasciando la variabile gravità! Una distesa arida di roccia calcarea , un ambiente estremamente arso ed inospitale si era palesato ai nostri occhi… ma altrettanto affascinante nella sua asprezza. Ad un certo punto vediamo segni di umanità: alcuni cartelli di indicazione ci aiutano nell’orientamento e, poi, osservando meglio, scopriamo che sopra questa distesa vi erano numerosi sentieri che si diramavano in varie direzioni. Ahimè ci accorgemmo a breve, che non ci trovavamo sulla Luna e neppure in un luogo isolato, bensì in una delle zone dolomitiche più frequentate dai turisti! Individuiamo subito il cartello che indica la direzione per il Rifugio Boè, la nostra prima tappa! Ci incamminiamo lungo leggeri saliscendi fino a raggiungere la Sella d’Antersas.  Da questa sella, affacciandoci nel vuoto possiamo ammirare un imponente campanile roccioso, che si eleva maestoso dalla Val di Mezdì, valle chiusa e franosa che si sviluppa sotto di noi e raggiunge l’abitato di Colfosco. Il suo attraversamento ci è stato sconsigliato da numerosi gestori di rifugi in loco, in quanto la Val di Mezdì a tratti è franata a causa della neve e del ghiaccio invernali, presenta un cavo metallico arrugginito e ceduto in varie parti, e la manutenzione del sentiero, sfortunatamente, viene molto trascurata per il fatto che questa vallata (paesaggisticamente molto bella) non presenta particolari servizi graditi al turismo, e per questo motivo, in quanto “non portatrice di denaro”, viene lasciata a se stessa….

Rifugio Boè

Rifugio Boè

Dalla Sella di Antersas abbiamo raggiunto il Rifugio Boè seguendo un comodo sentiero, rifugio che con i suoi scuri di legno bianco e azzurro alle finestre, era ben visibile già dalla sella. Dal Rifugio Cavazza al Rifugio Boè abbiamo impiegato circa 4 ore, considerando che il primo tratto, la risalita del ghiaione, era molto impegnativo…

Dal Rifugio Boè parte il sentiero, in realtà sulle cartine appare come “traccia” di sentiero, che circa in 1 ora ci conduce in cima del maestoso Piz Boè. Questo sentiero è caratterizzato da un brevissimo tratto attrezzato ( salita e discesa diversificate), che non necessita né di imbrago né di set da ferrata, in quanto si tratta di un semplice passamano non esposto, che rende la salita ancora più divertente! Guardando a terra si iniziano a vedere frammenti di roccia rosa/rossa… è il cosiddetto “rosso ammonitico”, che colora la parte interna di queste montagne: queste zone in epoca molto antica erano sommerse dall’acqua, si trattava di una specie di laguna, abitata da vari animali acquatici, e, ancora oggi, incastonati nelle sezioni di roccia si possono trovare fossili di molluschi. La colorazione della roccia del Piz Boè è davvero insolita: ci si allontana dal bianco colore del calcare dolomitico per dare spazio alle tinte nere, arancioni e rosse… inoltre, la forma di questa montagna non può dirsi “elegante”, bensì “massiccia”! Sulla cima del Piz Boè si trova la Capanna Fassa  (3152 mt), un piccolo rifugio in legno, dove non manca nulla… fanno addirittura il caffè di Moka (con tanto di cartello che lo pubblicizza!!). Da questa vetta  sembra di dominare su tutto il resto del mondo: la vista spazia a 360°, di fronte a noi si erge la maestosa Marmolada, coperta dal suo candido mantello di neve e ghiaccio… pare di poterla toccare… si vede il Sass Pordoi (e la Funivia del Pordoi, che  permette al turismo di massa di fagocitare queste montagne…ma, troviamo anche il lato positivo di questo impianto: tante famiglie possono portare i loro bambini a scoprire cosa vuol dire trovarsi a 3000mt!!) ..si vede il Civetta..la Cima Pisciadù… il Passo Sella… si intravedono i prati, che in inverno si trasformano in stupende piste da sci. Da quassù si domina il possente Gruppo del Sella, una sensazione di meraviglia ci investe… viene a mancare, invece, l’effetto di suggestione che solitamente deriva dal silenzio che la montagna regala: in vetta c’erano talmente tante persone

Sasso Piatto e Sasso Luungo dal Piz Boè

Sasso Piatto e Sasso Luungo dal Piz Boè

rumorose, che sembrava di trovarsi all’Ikea in una domenica di pioggia!! D’altronde la vetta del Boè, oltre ad essere raggiungibile mediante 2 vie ferrate (Cesare Piazzetta e Ferrata del Vallon) si può raggiungere anche su comodo sentiero, che parte dalla stazione a monte della funivia Pordoi. Questa comodità fa sì che, arrivando ad una certa quota con gli impianti e camminando un paio di orette si riesce a  a raggiungere la cima tranquillamente: ed ecco spiegato il motivo di questa congestione turistica a 3000 mt!

La DISCESA si sviluppa per la stessa via di salita.

CONSIDERAZIONI :  al posto di prendere il ghiaione detritico dal Rifugio Cavazza consigliamo di imboccare il sentiero n.666, che conduce verso la Val Tita, e raggiungere il piz Boè da questa direzione. Suggeriamo di utilizzare questo sentiero sia in ANDATA che in RITORNO, evitando così la Sella Pisciadù, franosa e poco sicura.

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Cima Pisciadù (mt. 2985) partendo dal Rifugio Cavazza al Pisciadù

cima Piscadù dal Rifugio

cima Piscadù dal Rifugio col lago omonimo sottostante

MESE: agosto 2016

DIFFICOLTA’: EE

VALUTAZIONE: ***

TEMPO TOTALE ITINERARIO: 3 h e mezza/ 4h: salita 2 h/ discesa 1h e mezza

DISLIVELLO: 405 mt

PREPARAZIONE FISICA/TECNICA: **


CONSIGLI: indossare caschetto, in quanto la roccia è friabile e, eventualmente, set da ferrata per superare un tratto attrezzato

Sentiero attrezzato

Sentiero attrezzato

Partendo dal Rifugio Cavazza (che avevamo raggiunto salendo la via ferrata Brigata Tridentina dal Passo Gardena) siamo scesi verso il laghetto alpino sottostante, seguendo il sentiero a sinistra (n. 666) che passa sotto la strapiombante parete di Cima Pisciadù. Ad un certo punto, incontriamo alcuni passaggi un po’ più impegnativi, supportati da cavo metallico e staffe, fino a risalire poi gli spalloni rocciosi della Val Tita. Di qua e di là si osservavano ancora piccoli nevai nelle conche di roccia più profonde. Proseguiamo su questo terreno roccioso fino ad incontrare un bivio con dei cartelli: voltando a SINISTRA si raggiunge la Cima Pisciadù, mentre girando a DESTRA si arriverebbe alla base del bellissimo Piz Boè. Quel giorno noi avevamo previsto la vetta del Pisciadù, quindi, dopo aver seguito il sentiero di sinistra, abbiamo iniziato a risalire una serie di “gradoni” rocciosi (simili alla struttura dello “ziqqurat”) molto divertenti anche se un po’ faticosi. Il percorso non è obbligato, ma è ben segnato, e, comunque, intuitivo e non difficile. Ripido… quello sì… una bella salita dove servono gambe allenate! L’unica stranezza è la percezione di vedere la

verso la vetta della cima Piscadù

I gradoni verso la vetta

cima molto vicina, con la sua croce che domina dall’alto, ma, sostanzialmente non la si raggiunge mai… si camminava e si camminava ma la distanza tra noi e la vetta non si accorciava mai… In questo tragitto lungo e un po’ stancante, si viene ricompensati dalla bellezza del panorama circostante, dove si osserva la Val Badia e il Piz Boè, che si distingue non appena si prende un po’ di quota. Sfortunatamente, nel giorno della nostra escursione le nuvole ci stavano rincorrendo e, arrivati in cima, a distanza di pochi minuti si è coperto tutto attorno a noi, una gelida nebbia ci ha avvolti, impedendoci di godere a pieno del paesaggio. Sulla cima sono presenti una grande croce e il libro di vetta.

Per la DISCESA si segue lo stesso itinerario della salita fino al Rifugio Cavazza. Da qui, poi, per arrivare fino al Passo Gardena è consigliabile scendere lungo il canalone della Val Setus, che presenta una prima parte attrezzata abbastanza ripida, per trasformarsi poi in ghiaione, con sentiero ben segnato fino a valle.

Considerazioni: si tratta di un percorso non difficile tecnicamente, ma impegnativo per la lunghezza e per l’ultimo tratto di salita abbastanza ripido. Consigliamo di indossare il CASCHETTO, e, per chi volesse sentirsi più sicuro, anche l’imbrago con set da ferrata, per superare il tratto attrezzato.

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Via ferrata Brigata Tridentina-Torre Exner (2450mt) dal passo Gardena (1950mt)

Questa galleria contiene 6 foto.

PERIODO: agosto 2016 DIFFICOLTA’: EEA VALUTAZIONE: **** PREPARAZIONE FISICA/TECNICA: *** / TORRE EXNER: **** TEMPO TOTALE ITINERARIO: 3 h salita + 2 h discesa dalla Val Setus (sentiero attrezzato parziale) DISLIVELLO: 500 mt RIFUGIO DI RIFERIMENTO: Rifugio Franco Cavazza al … Continua a leggere

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Rifugio Giaf

Rifugio Giaf

Località: Forni di Sopra
Altitudine: 1400m s.l.m.
Gruppo: CRIDOLA
Cartografia: Tabacco 1:25000 n.02 “Forni di Sopra, Ampezzo, Sauris, Alta Val Tagliamento”
Apertura: Da metà giugno a metà settembre; al fine settimana dai primi di giugno a metà giugno e da metà settembre a metà ottobre.
Telefono rifugio: +39 0433 88002 +39 338.7856338
E-mail: info@rifugiogiaf.it
Internet: http://www.rifugiogiaf.it/
Posti letto: 50
Locale invernale: Sì
Gestore: Dario Masarotti



Storia:
Dove adesso sorge la cappella votiva, c’era una malga utilizzata dai pastori di Forni. Iginio Coradazzi detto “Bianchi”, forte conoscitore ed alpinista della zona, pensò di costruire un ricovero per tutti gli appassionati di montagna.

Accessi:
-da Forni di Sopra – località Chiandarens, per sentiero n° 346 (h 1)
 

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Le difficoltà escursionistiche

T – Turistico. Itinerari su carrarecce, mulattiere o sentieri evidenti. Si sviluppa a poca distanza da paesi, località turistiche o strade, ed è uno strumento ideale per passeggiate a carattere culturale, turistico o ricreativo. Non ci sono problemi tecnici o di orientamento. Sono però necessari un minimo di conoscenza dell’ambiente montano e di preparazione fisica alla camminata.

E – Escursionistico. Itinerario su sentieri o tracce di sentiero, di solito segnato, che può includere pendii erbosi o detritici, tratti esposti, facili passaggi attrezzati o nevai. Sono necessari un discreto senso dell’orientamento, una certa conoscenza dell’ambiente montano, allenamento, calzature e abbigliamento adeguati.

EE – Escursionismo per Esperti. Itinerario impegnativo, spesso con lunghezza e dislivello notevoli, che può includere passaggi di facile arrampicata, tratti attrezzati e pendii nevosi abbastanza ripidi. Sono necessari esperienza di montagna, passo sicuro, equilibrio, equipaggiamento, attrezzatura e preparazione fisica adeguati al terreno e alla quota.

EEA – Escursionistico per Esperti con Attrezzatura. Itinerario (sentiero attrezzato o via ferrata) equipaggiato con corde metalliche, scale, mancorrenti e altre attrezzature. Dev’essere affrontato con casco, imbragatura, cordini e moschettoni.

EAI – Escursionismo in Ambiente Innevato. Sono percorsi che richiedono l’utilizzo di racchette da neve, hanno facili vie di accesso e si svolgono in fondo valle o in zone boschive o sui crinali che garantiscono, nel complesso sicurezza di percorribilità.

Le difficoltà alpinistiche. Negli itinerari classificati EE o EEA i passaggi su roccia vengono indicati con i gradi più bassi (I, II, III, …) della scala delle difficoltà in arrampicata. La tabella qui sotto confronta le principali scale.

UIAA USA (YDS) UK Francia Germania Australia
I 5.2 difficoltà moderata 1 I
II 5.3 difficile 2 II 11
III 5.4 molto difficile 3 III 12
IV 5.5 4a 4 IV 12 – 13
V- 5.5 4a 5a V 13
V 5.6 4a – 4b 5b V – VI 13 – 14
V+ 5.7 4b – 4c 5b – 5c VI 14
VI- 5.8 4c 5c VIIa 15
VI 5.9 5a 6a VIIb 15 – 16
VI+ 5.10a 5a 6a+ VIIc 16
VII- 5.10b 5b 6b VIIIa 17
VII 5.10c 5b – 5c 6b+ VIIIb 18
VII+ 5.10d 5c 6c VIIIc 19
VIII- 5.11a – 5.11b 6a 6c+ IXa 20 – 21
VIII 5.11c – 5.11d 6a – 6b 7a IXb 22 – 23
VIII+ 5.12a 6b 7a+ IXc 24
IX- 5.12b – 5.12c 6c 7b – 7b+ Xa 25 – 26
IX 5.12d 6c – 7a 7b+ – 7c Xb 26 – 27
IX+ 5.13a 7a 7c+ Xc 28
X- 5.13b – 5.13c 7b 8a – 8a+ XIa 29 – 30
X 5.13c – 5.13d 7b 8b XIb 30 – 31
X+ 5.13d – 5.14a 8b – 8b+ 31 – 32
XI- 5.14b – 5.14c 8c – 8c+ 33 – 34
XI 5.14c – 5.14d 8c+ – 9a
XII- 5.15a 9a+
XII 5.15b – 5.15c 9b – 9b+

 

Per fornire un riassunto della difficoltà complessiva delle salite, ossia per dare una valutazione d’insieme in cui il “grado tecnico” sia solo una delle tante componenti, molti autori e molti enti alpinistici (per esempio il Club Alpino Italiano) utilizzano nelle loro pubblicazioni una scala di difficoltà (di origine francese) che si esprime per sigle aventi il seguente significato:

Grado Significato (FR-IT) Descrizione
F (facile – facile) Nessuna difficoltà particolare, ma l’utilizzo di materiale d’alpinismo (casco, corda, ramponi, piccozza) può essere necessario.
PD (peu difficile – poco difficile) Alcune difficoltà alpinistiche su roccia e/o neve; pendii di neve e ghiaccio fino a 35°-40°, passaggi di arrampicata elementare.
AD (assez difficile – abbastanza difficile) Difficoltà alpinistiche sia su roccia che su ghiaccio; pendii di neve e ghiaccio tra 40 e 50°, passi di arrampicata di III grado.
D (difficile – difficile) Difficoltà alpinistiche più sostenute sia su roccia che su ghiaccio; pendii di neve e ghiaccio tra 50° e 70°, arrampicata di grado 4c-5a-5b.
TD (trés difficile – molto difficile) Difficoltà alpinistiche molto sostenute sia su roccia che su ghiaccio; pareti di ghiaccio tra 70° e 80°, arrampicata di grado 5c-6a.
ED (extremement difficile – estremamente difficile) Difficoltà alpinistiche estreme sia su roccia che su ghiaccio; pareti di ghiaccio fino a 90°, arrampicata di grado 6b-6c-7a.
ABO
(EX)
(abominable – abominevole)
(exceptionnellement difficile – eccezionalmente difficile)
Difficoltà alpinistiche eccezionali sia su roccia che su ghiaccio; pareti di ghiaccio e roccia strapiombanti, arrampicata di grado 7b e superiore. Protezioni particolarmente precarie.

 

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Monte Floriz

Monte Floriz

MESE: LUGLIO 2016

DIFFICOLTA’:  E
PREPARAZIONE FISICA/TECNICA : *
TEMPO ITINERARIO ( fino al rifugio Tolazzi) : 4 h
DISLIVELLO: 800 mt


Siamo partiti nel primo pomeriggio dal Rifugio Marinelli situato a quota 2122 mt, con l’intenzione di provare un itinerario diverso rispetto alla solita strada che dal rifugio scende diretta al rifugio Tolazzi, a quota 1370 mt.. Quindi, seguendo il sentiero n.174 in direzione Monte Crostis, abbiamo risalito un bel percorso panoramico sul versante laterale del Monte Floris. Percorrendo i saliscendi di questo splendido itinerario, ad un certo punto, si è aperta davanti a noi , da un lato la vallata verdissima e ampia alle pendici del

Pal Piccolo

Pal Piccolo

Coglians, dall’altro pascoli ricchi e floridi ,che conducevano fino al Monte Croce Carnico. Da quelle alture abbiamo potuto scorgere la forma tozza del Pal Piccolo, e, in contrapposizione, lo slanciato pinnacolo di Creta Timau, che nasconde il laghetto di Avostanis. Non ci sono parole per descrivere la bellezza naturalistica di queste vallate, che sarebbero state adatte per essere adibite a pascoli..ma, a parte un gruppo ben nutrito di pecore che brucavano…prima di avere un contatto diretto con le mucche ci sarebbe stato ancora da camminare un bel po’..E, in mezzo a quei tappeti verdi e continui, emergeva un intersecarsi di sentieri che serpentinavano qua e là, senza permetterci di capire dove

Monte Crostis

Monte Crostis

La marmotta

La marmotta

cominciassero o dove trovassero la fine. Stavamo attraversando un mondo di vegetazione e di fiori di mille colori, un ambiente del tutto opposto al roccioso e ghiaioso monte Coglians salito il giorno precedente! Arriviamo cosi , passeggiando , sulla “cima” del monte Floriz: trattandosi di un’elevazione erbosa, più che di una montagna vera e propria, la cima consiste in una blanda collinetta verde. Da lì il sentiero comincia a scendere e, ad un tratto, vediamo un ragazzo in mountainbike che sfreccia su una stradina dalla parte opposta del monte: effettivamente per gli amanti di questo sport, e magari per i più spericolati,questi sentieri si prestano bene per un ‘escursione ciclistica..per la sottoscritta..impresa da brivido! Si cammina ancora un po’ in falsopiano prima di raggiungere la Forcella Plumbs, una comoda sella erbosa, posizionata sotto il Monte Crostis ( 2251 mt). Da qui due sono le possibilità, o si continua dritti e si sale il monte Crostis fino a raggiungere la croce di vetta, visibile anche a occhio nudo dal basso, oppure si scende verso la valle, seguendo il sentiero n. 150, in direzione Collina. In questo bivio non sono presenti evidenti indicazioni, quindi è consigliato portre dietro sempre la cartina Tabacco ( n.01).

Forcella Plumbs

Forcella Plumbs

Non ho ancora dedicato uno spazio ai meravigliosi abitanti pelosi e timidi della montagna: le marmotte! Che, con il loro fischiettare, ci rallegravano ancora di più una giornata a dir poco perfetta! Abbiamo scoperto che quando emettono un unico fischio, avvisano la loro colonia di un pericolo proveniente dall’alto (ad esmpio un rapace..), se invece ne emettono una sequenza, significa che il pericolo viene da terra…se non rispondono vuol dire che sono rimaste perplesse dei fischi casuali emessi da Nelson..e cercano di capirne il significato! Erano belle marmotte paciose, e tranquille, che uscivano dalle loro tane per scaldarsi al sole. Ad un certo punto tra una fotografia ed un’altra, Nelson individua in lontananza in mezzo al prato un animale più scattante della marmotta, di primo acchito abbiamo dei dubbi ..ma poi dalla coda..ci convinciamo che si tratta di una bellissima volpe, la quale, inconsapevole della nostra presenza, si mette anche in posa per lo scatto!

Volpe sulla Forcella Plumbs

Volpe sulla Forcella Plumbs

Il sentiero prosegue in un’armoniosa discesa tra i pascoli, scorgiamo un folto gruppo di manzi che si trastullano chi sul prato, chi invece cerca prodezze risalendo la montagna, e, tutto intorno a noi, oltre al silenzio, un costante rumore di acqua che scorre. Alziamo gli occhi e ci accorgiamo di una bella cascata che confluisce in un ruscello, il Rio Chiaula, che via via prenderà forma fino a trasformarsi in un fiumiciattolo che ci accompagnerà lungo tutto il percorso. Superando dei resti in muratura di una probabile casa o casera abbandonata, ci troviamo di fronte alla Malga Plumbs, ancora in attività, ma, che non produce formaggio purtroppo, in quanto l’allevamento non è di mucche, bensì di manzi. E noi… che gia ci pregustavamo una fetta di formaggio fresco di forma..ahimè nulla..dobbiamo solo continuare a camminare, dopo aver scambiato due parole con il “casaro” di turno. Il sentiero via via si fa più largo, fino a trasformarsi in una strada sterrata, ma carrozzabile. Credo ,che alla malga noi, erroneamente, abbiamo seguito la strada che si allargava, ma, forse, da qualche parte vi sarà stato ancora il sentiero n. 150…fatto sta ,che abbiamo allungato il nostro itinerario! E, come accade spesso, non è stato un male, in quanto siamo entrati in una stupenda pineta, dagli alberi alti come delle torri, dove ci ha colpiti una sorta di protezione o diga, realizzata con i tronchi: scorreva acqua da ogni parte, ammetto che la struttura non dava molta sicurezza a vederla, ma, se si trova ancora là significa che “l’abito non sempre fa il monaco”! Abbiamo visto anche un “piccolo abete” crescere dal ramo di un grande pino, nel senso che le radici erano dentro al ramo!!! Che stranezza!! La strada nel bosco scendeva tipo a tornanti, ormai era sera e noi parecchio stanchi..sembrava non finisse più. Ad un certo punto, dopo l’incrocio a destra con il sentiero 150, si apriva uno slargo sulla strada con un sentiero ben battuto che entrava a destra nel bosco. Lo abbiamo intrapreso, e,attraversando il tranquillo campeggio di Collina ( ho fatto anche un pensierino per passarci due giorni in tenda!) siamo finalmente sbucati sulla strada principale asfaltata che da Collina arriva al rifugio Tolazzi..ancora una curva e vediamo la nostra auto parcheggiata là ad aspettarci!

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Monte Coglians (mt.2780) dal Rifugio Marinelli

MONTE COGLIANS (mt.2780) dal Rifugio Marinelli

(Per via normale)


Monte Coglians

Monte Coglians

MESE: luglio 2016

DIFFICOLTA’: EE

PREPARAZIONE FISICA/TECNICA: ***

TEMPO TOTALE ITINERARIO:  5 h

DISLIVELLO: 660 mt


Sei anni fa, Nelson ed io, assieme ad un gruppo di amici (tra cui Luca ed Ilaria), eravamo già saliti sulla vetta di questo splendido colosso di roccia, seguendo un itinerario diverso, che partiva dal rifugio Lambertenghi, proseguiva per il sentiero Spinotti e poi saliva diretto verso il Coglians. Questa volta abbiamo deciso di variare e di raggiungere la vetta passando per il Pic Chiadin.

Rifugio Marinelli

Rifugio Marinelli

Alle spalle del rifugio Marinelli parte il sentiero n.143, che nel tempo approssimativo di 2.30 h conduce fino alla vetta. Inizialmente, si sale verso il Pic Chiadin (2302 mt.), un montagnozzo verde, che si frappone tra il rifugio ed il monte Coglians. Attraversiamo prati e piccole cenge di roccia lavica: che stranezza! mi son detta… in questo contesto prevalentemente  calcareo  non mi sarei mai aspettata di trovare roccia nera ..il Pic Chiadin risulta essere una montagna quasi “fuori luogo”, insolita, contraddistinta da roccia scura, marrone, quasi nera, depositata a strati, una roccia molto fragile e friabile, ricca di minerali e sostanze che rendono fertile il terreno che la ricopre: ecco perché quel tappeto verde che ricopriva il monticello..come fosse di velluto! Fiori che nascono tra la roccia… anzi… dalla roccia… sul Pic Chiadin si vede la vita..”la roccia è vita” e questo monte ne è una evidente rappresentazione! Camminando verso la cima del Pic, a volte, si resta colpiti dal rumore di “vetri frantumati”, allorchè si calpesta questo tipo di roccia, così tanto friabile.

Superata questa piccola cima (circa in una mezz’ora dal rifugio), il sentiero scavalca la Forcella Monumenz e costeggia il versante opposto, davanti a noi si intravede già il primo dei due impegnativi ghiaioni del Coglians. Seguendo sempre il sentiero 143, tenendoci sempre sulla sinistra (se andassimo a destra arriveremmo alla Cima di Mezzo… ma oggi non è questo l’obiettivo!), dopo aver superato un paio di piccole cenge attrezzate con cavo metallico, ci siamo trovati alla base del primo faticoso ghiaione, e, ammetto, che i bastoni da trekking sono state decisamente utili per risalirlo. Le indicazioni del sentiero da seguire sono molto chiare, si nota una manutenzione attiva, ad un certo punto ci si trova innanzi ad un attraversamento di alcune roccette, per poi, giungere, con un po’ di affanno, al secondo ghiaione, quello più ripido. Attorno a noi si potevano osservare ancora residui di nevai, la neve arrivava fino all’attacco

ghiaione

ghiaione

dell’ultima parte di ascesa, la parte più divertente, dove è necessario arrampicarsi, ma senza cavi di assicurazione, in questo caso. Si tratta di una salita semplice, con passaggi di primo grado, piacevoli, mai troppo esposti, insomma, una conquista di vetta, in cui bisogna investire dell’impegno, ma, al contempo, che regala molta soddisfazione una volta raggiunta.

Quel giorno faceva davvero freddo, per essere la metà di luglio, la notte era stata talmente ventosa, da dare l’impressione che il rifugio venisse scoperchiato da un momento all’altro, tanto impetuose erano le raffiche. Quindi, non appena arrivati in cima, e immediatamente dopo aver suonato la campana di vetta e ringraziato la croce, abbiamo estratto dai nostri zaini tutto il possibile per coprirci a dovere: giacca, cappellino in lana, pile… eravamo vestiti ma il freddo continuava ad essere insidioso. Il vento soffiava forte, e, dopo aver fatto un paio di foto e messo le firme sul libro di vetta, a documentare il nostro passaggio, ci siamo decisi a scendere. Era trascorsa un’ora, dacché ci trovavamo lassù, ma sembravano pochi istanti, tanto ci eravamo deliziati gli occhi alla vista del panorama circostante: come quando si guarda un film dove le scene si susseguono veloci… che non lascia il tempo di annoiarsi… lassù era pieno di stimoli: colori, forme, persone che si muovevano, montagne che avevamo salito e quelle ancora da scoprire… insomma… c’era un mondo lassù! Tutto ciò era permesso da una giornata molto limpida, caratterizzata solo da qualche nuvola che ogni tanto ci faceva la gentilezza di comparire, per proteggerci dall’intensità del sole. Attorno a noi abbiamo individuato più cime possibili, da quelle più vicine: il Jof Fuart, il Montasio, il Peralba e il Chiadenis, a quelle più lontane: la Tofana, la Marmolada, con il suo bianco e candido ghiacciaio che catturava l’osservatore curioso!

La discesa è avvenuta per la stessa via di salita: il primo tratto da fare con particolare attenzione, in quanto si tratta della parte mancante di protezioni, e poi restano solo da scendere i ghiaioni: in questo caso la tecnica dello “scivolamento” risulta essere la più veloce e meno stancante, anche se le ginocchia vengono comunque messe a dura prova! In un’ora e mezza circa ci trovavamo già alla base del primo ghiaione, sul sentiero 143: la discesa risulta essere molto più veloce rispetto alla salita, specialmente se fatta in questo modo. Attraversiamo nuovamente il Pic Chiadin e scendiamo per i prati che ci riconducono al Rifugio Marinelli, dove una buon piatto di pasta al ragù di selvaggina ci stava aspettando fumante!

Considerazioni conclusive: la salita al Coglians è abbastanza faticosa, necessita sicuramente di un buon allenamento sia fisico che tecnico e la totale assenza di vertigini, o paura del vuoto. In questa occasione abbiamo visto salire fino in vetta anche una famiglia con dei ragazzi dal passo sicuro, sicuramente a vederli già avvezzi alle camminate in alta montagna. Siamo già di fronte ad un itinerario di livello EEA (escursionismo-esperto-alpinismo), ed è una vetta da visitare almeno una volta nella vita… per sentirsi al di sopra di tutto il resto del mondo!

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Rifugio Tolazzi

Rifugio Edoardo TOLAZZI

Località: Forni Avoltri
Altitudine: 1350m s.l.m.
Gruppo: COGLIÀNS
Cartografia: Tabacco 1:25000 n.09 “Alpi Carniche, Karnische Alpen”
Apertura: 1 giugno – 30 settembre, feste natalizie, Capodanno, Pasqua, 1° maggio e tutti i fine settimana
Telefono rifugio: +39 338.9093816
E-mail: rifugiotolazzi1500@gmail.com
Internet:
Posti letto: 20
Locale invernale: Sì
Gestore: Alberto Bruni



Storia:
Inaugurato nel 1967, si sostituisce a una vecchia baita costruitanel 1948 da Augusto Brunasso. E’ intitolato a Edoardo Tolazzi, nato a Forni Avoltri nel 1898, per 25 anni maestro elementare di Collina, guida alpina e famoso cacciatore di camosci, che morì l’anno stesso dell’inaugurazione.

Accessi:
Carrozzabile pubblica da Forni Avoltri si segue la strada che porta a Collina, arrivati a Collina si prosegue per la strada che indica “ai Rifugi o Via delle Malghe Carniche”.
 

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Rifugio Marinelli

Rifugio Giovanni e Olinto MARINELLI

Località: Paluzza
Altitudine: 2120m s.l.m.
Gruppo: COGLIÀNS
Cartografia: Tabacco 1:25000 n.01 “Sappada, Santo Stefano, Forni Avoltri”; Tabacco 1:25000 n.09 “Alpi Carniche, Karnische Alpen”
Apertura: 15 giugno – 6 ottobre
Telefono rifugio: +39 0433.779177
E-mail: cate_selva@libero.it
Internet: http://www.rifugiomarinelli.com/
Posti letto: 50
Locale invernale: Sì
Gestore: Caterina Tamussin



Storia:
Costruito mel 1901, venne dedicato a Giovanni Marinelli, geologo e primo presidente della SAF (Società Alpina Friulana) e al figlio Olinto, anch’egli Presidente della SAF. Fu modificato e ampliato più volte; l’ultimo radicale intervento risale al 2001 quando fu nuovamente innaugurato esattamente 100 anni dopo l’apertura. Si tratta del più antico ed elevato rifugio delle Alpi Cariche.
Accessi:
– Sentiero da Passo Monte Croce Carnico, per segnavia n° 146 (h 2.30)
 

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Giro dei 4 Rifugi – Tolazzi – Lambertenghi – Marinelli – Wolayerseehutte

Monte Coglians

Monte Coglians

(Rifugio Tolazzi – Rifugio Lambertenghi -Romanin – Wolayerseehutte o Pichlhutte – Rifugio Marinelli )

MESE: luglio 2016

DIFFICOLTA’: E

PREPARAZIONE FISICA: **

TEMPO TOTALE ITINERARIO: 7 h

DISLIVELLO: 750 mt


Si tratta di un itinerario abbastanza lungo, ma, al contempo, vario e di grande soddisfazione, che include un trekking sostenuto, dove si susseguono repentini cambi di dislivello, sommato ad una passeggiata ad anello attorno al Lago di Volaia, di grande effetto panoramico. Il tutto, poi, viene arricchito dal Sentiero Spinotti, un percorso attrezzato, semplice ma di grande suggestione…si ottiene in questo modo un itinerario di giornata davvero appagante!

Vista del passo di Volaia

Vista del passo di Volaia

Il nostro intento era quello di abbinare questo percorso alla salita al Monte Coglians, e al Monte Crostis, in un weekend, con pernottamento al Rifugio Marinelli. A tal fine ci eravamo gestiti con gli orari in modo da raggiungere il suddetto rifugio verso sera.

Rifugio Lambertenghi -Romanin

Rifugio Lambertenghi -Romanin

Siamo partiti, quindi, dal parcheggio del Rifugio Tolazzi (1370 mt.), sito in località Collina, verso mezzogiorno di sabato: la giornata era fredda ed il vento pungente pizzicava il viso, ma il cielo era estremamente limpido. Da dietro al rifugio parte il sentiero CAI 144, che si inerpica abbastanza ripido nel bosco, nel qual caso si scegliesse di prendere la scorciatoia, oppure si presenta come una strada a tornanti, nel caso si optasse per una partenza più leggera. Entrambi i percorsi, poi, convogliano in uno stesso sentiero, seguendo il quale, a circa 2 ore dalla partenza, ci conduce al Rifugio Lambertenghi- Romanin (1975), situato in posizione dominante sul Passo Volaia. Da quassù il palcoscenico che si apre ai nostri occhi è a dir poco da mozzare il fiato: il gruppo del Coglians, di cui il massiccio detiene il primato di monte più alto del Friuli Venezia Giulia con i suoi 2780 mt, si erge imponente sul lato destro del rifugio, e si sviluppa con una serie di placche appoggiate, sulle quali quel giorno un corso di alpinismo stava tenendo lezione. Osservando con attenzione mi sono accorta che, personalmente, ciò che mi colpiva di più, oltre alla maestosità di questi antichi e saggi giganti di pietra, era il loro colore: una roccia che, attraversando tutte le sfumature del grigio, in alcuni punti riesce a diventare quasi bianca e diventa accecante se colpita direttamente dal sole. Su queste pareti il fenomeno del “carsismo” ha lasciato evidenti segni, o, più correttamente “decorazioni”: scannellature, campi solcati, docce, vaschette di corrosione, tutti appellativi tecnici per definire le fessure e i buchi più o meno grandi che si osservano su questo tipo di roccia. Essi rappresentano il risultato sbalorditivo dell’erosione dell’acqua su un terreno di matrice calcarea. Questi monumenti, abilmente plasmati dalla sapiente abilità di madre natura, finiscono per essere delle vere e proprie opere d’arte, esposte nel museo più facile da visitare, ossia quello della natura che ci circonda! Scusate la divagazione ma non si riescono mai a trovare le parole più giuste per descrivere tanta bellezza.

Wolayerseehutte o Pichlhutte

Wolayerseehutte o Pichlhutte

Una volta raggiunto il rifugio Lambertenghi, ci siamo diretti al vicino Lago di Volaia, situato sull’omonimo passo a 1951 mt., distante 5 minuti a piedi, che segna il valico tra Italia ed Austria. Quindi, arrivati fin qua, perché non sconfinare in territorio austriaco? Non si può resistere all’irrefrenabile voglia di andare a bere una buona birra in Austria… in fondo sono solo pochi passi… il rifugio Pichl è talmente vicino che pare di poterlo toccare!

Questa prima parte di itinerario, personalmente, la consiglierei anche come piacevole gita domenicale per famiglie, un bel giro per avvicinare i bambini alla montagna, ma senza esagerare con la fatica! Da adesso in poi, invece, l’itinerario diventa più faticoso e un po’impegnativo.
Dopo aver concluso la rilassante passeggiata attorno al lago (45 minuti circa), è giunto il momento di ripartire alla volta del quarto e ultimo rifugio della giornata, meta della nostra escursione: il rifugio Marinelli, sovrastato dal maestoso massiccio del Coglians! Dal rifugio Lambertenghi, scendendo sul sentiero CAI 144, ad un certo punto, ci siamo tenuti sulla sinistra, seguendo una deviazione (n.145) che, passando sotto le placche attrezzate, e, superando un piccolo nevaio, ci ha condotti all’attacco del Sentiero attrezzato Spinotti. E’ un itinerario molto divertente, per chi volesse anche l’emozione di avvicinarsi ad una semplice ferrata: in realtà, si tratta di una breve scala verticale e di un cavo, che, per la maggior parte dei passaggi funge da

Passaggio agevolato da scala di legno

Passaggio agevolato da scala di legno

corrimano. Non è assolutamente impegnativo come percorso, per quanto, dato che “la prudenza non è mai troppa” io consiglio, comunque, di utilizzare set da ferrata e caschetto di protezione. Considerando che si tratta di una zona parecchio frequentata e che la roccia, a tratti è molto friabile (si osservano numerosi ghiaioni…), c’è il rischio che frammenti di roccia si stacchino, colpendo chi si trova sotto di noi.

Finito il primo tratto attrezzato, si arriva su una sorta di sella ed il sentiero prosegue un’po’ in discesa e poi in falsopiano, costeggiando un ghiaione, seguito da un altro piccolo nevaio, che bisogna attraversare. Volgendo lo sguardo a destra, verso il declivio, si apre davanti a noi una splendida verde vallata, che fa spaziare l’occhio fino a condurlo a scorgere le piste da sci del Monte Zoncolan! Superato il nevaio, troviamo delle scalette in legno e, nuovamente, appare il cavo, che ci accompagna fino ad un’altra verdeggiante forcella: sei anni fa su questo prato avevo potuto ammirare delle bellissime stelle alpine, e porto questo bel ricordo ancora vivo nella mente. Ahimè, questa volta, le “amiche dei monti” non le abbiamo trovate, mi auguro più per colpa di una stagione non favorevole, piuttosto che a causa della loro estinzione…

Monte Zoncolan

Monte Zoncolan

Da qui, inizia una sorta di falsopiano ed il sentiero si insinua in un ambiente formato da placche di roccia calcarea: ci troviamo esattamente alla base del gruppo del Coglians. L’ambiente naturale, che si osserva, è molto particolare: chiazze di fresca erbetta verde e fiorellini (il giglio martagone e le genziane la fanno da padroni!) si alternano a blocchi di rocce bianche, scavate dall’erosione dell’acqua. Si sale, si scende, si scavalca, si risale, finché il sentiero diventa più armonioso. A seguito di altri saliscendi, si intravede, finalmente, una bandiera che sventola: sta ad indicare il rifugio Marinelli (mt.2122) …è vicino… manca poco! Il tempo di percorrenza dal rifugio Lambertenghi al rifugio Marinelli, per il sentiero Spinotti, è stato di circa 2 ore e mezza, forse 3, con le dovute soste per la documentazione fotografica!

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